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Come Scongelare la Bottarga

Scongelare la bottarga richiede la stessa delicatezza con cui, originariamente, è stata stagionata: un passaggio freddo–freddo che rispetti la struttura proteica del sacco ovigeroso e un’asciugatura che impedisca alla superficie di assorbire umidità indesiderata. Se la bottarga è arrivata a casa sotto vuoto e poi finita in freezer, la prima mossa è riportarla nel punto più freddo del frigorifero, idealmente a 0-2 °C. Il passaggio diretto dal gelo ai quattro gradi della mensola centrale provocherebbe una differenza termica brusca e la comparsa di micro-condensa tra cellophane e uovo pressato; posandola invece sul ripiano più basso, addossata alla parete di raffreddamento, si concede alle fibre il tempo di risvegliarsi lentamente e al sale interno di riassorbire l’acqua che ricompare per sublimazione. Per un intero blocco da centocinquanta grammi occorrono ventiquattro ore; un sacchetto di lamelle già affettate ne impiega sei-otto, purché rimanga disteso in modo che l’aria fredda circoli uniformemente.

Quando il contenuto non presenta più cristalli di brina, la confezione va trasferita sul ripiano intermedio per altre quattro ore: questo secondo acclimatamento impedisce che lo sbalzo fra zero gradi e temperatura di servizio – di solito intorno ai dodici se la bottarga si consuma cruda su pasta o verdure – liberi umidità in superficie. A questo punto si può aprire il sottovuoto. Se si tratta di una baffa intera, conviene tamponarla subito con carta da cucina non sbiancata e lasciarla dieci minuti su una gratella; in quel lasso di tempo la pellicola naturale perde l’eventuale lucidità residua e la pasta interna recupera elasticità. Se invece si sono congelate scaglie sottili, basta separarle con la punta di un coltello piatto, distenderle su un tovagliolo di lino e attendere che si alzino a temperatura ambiente. In entrambi i casi la chiave è tenere la bottarga lontana da correnti d’aria calda, fonti di vapore e luce diretta: più il microclima resta secco, minore è il rischio che il sale superficiale assorba acqua abbastanza da creare una patina appiccicosa.

Una volta scongelata, la bottarga non deve fare giri di frigo prolungati. Se ne avanza una parte, può restare chiusa in barattolo ermetico con due fogli di carta assorbente, al massimo per quarantotto ore, perché la densità del sacco, una volta reidratata dalla fase di scongelamento, torna poco alla volta a cedere umidità. In cucina, l’ideale è pianificare le porzioni: grattare soltanto la quantità che serve per mantecare la pasta o rifinire un crudo di ricciola, conservando il resto in un ambiente di servizio fresco, intorno ai dieci gradi, come avviene nei ristoranti di costa.

Il medesimo principio vale per la bottarga di tonno, che possiede una percentuale lipidica superiore: la sosta nel punto più freddo del frigorifero riduce il rischio che le parti grasse, in fase transitoria, esudino olio e lascino striature aranciate sulla carta, segno di ossidazione. Se comunque si forma una leggera untuosità, basta asciugarla con un panno di cotone e ricoprire la baffa con un velo di amido di riso, setacciandolo via subito prima dell’uso; l’amido riassorbe micro-gocce senza alterare sapore e profumo di mare.

Chi preferisce lavorare la bottarga ancora parzialmente ghiacciata – per tagliare petali regolari con l’affettatrice – può fermare lo scongelamento dopo dodici ore nel ripiano più basso: la consistenza resterà appena rigida e le lamelle verranno sottili e lucide. L’importante è consumarle nel giro di poche ore, perché la temperatura interna salirà in fretta a quella ambiente e la proteolisi riprenderà velocemente.

Avendo cura di procedere con lentezza, di controllare l’umidità e di proteggere la parte in eccesso dal contatto con l’aria, la bottarga recupera la compattezza e il profumo originari, pronta a liberare note iodate che sanno di sole e saline anche a distanza di mesi dal giorno in cui il muggine o il tonno hanno lasciato il mare.

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